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Vercelli, Gemma

Torino, 1906
Torino, 1995

I vent’anni di questa pittrice sono il più formidabile avallo alla sua cambiale verso il successo. Vent’anni: che dicono un passato fecondo, una personalità inconfondibile, una tecnica nuovissima, una sicurezza sconcertante. Giunta quasi inosservata a Milano ivi ha esposto nella Galleria Bardi, la maggior parte della sua produzione. È stato, così, facile, per chi ha voluto studiarla e rendersi conto del suo valore, portare a compimento il suo studio e poter dare con qualche sicurezza un giudizio. Entrando in Galleria completamente vergini di lei e della sua arte, la prima impressione nostra è quella di trovarci in mezzo ad opere amiche, d’un antico indefinibile che può oscillare dal ‘300 al ‘700, d’una scuola impeccabile che può essere fiamminga come spagnola, nordica come mediterranea. Ma ci si accorge ben tosto dell’errore e si riconosce immediatamente che mai si è di fronte ad una scuola o ad un’epoca, ma ad un artista. Esclusivamente un artista, neppur tanto facilmente giudicabile. L’artista è presente nella sala: una giovane donna, ancor troppo fanciulla, tranquilla, semplice, quasi rassegnata a non si sa che cosa; una massa di capelli neri sopra un viso sereno in cui gli occhi non più fanciulli racchiudono un mondo in una loro riservatezza pacata. Quel viso non va trascurato perché è parte essenziale delle migliori opere, quasi che l’artista non sappia ancora trovare che in sè quanto di più profondo v’è nella sua arte. Sono belli i quadri della Vercelli? Non so. Interessano? Molto, e non inutilmente. La Vercelli ha presentato nella mostra saggi esaurienti di ritratto, di paesaggio, di natura morta, di disegno, di acquerello.L’acquarello può servire per la cronaca e per raffronti di maturazioni, ma il tenue e delicato acquerello non si presta ad mteipretare quanto l’artista sente.Il paesaggio lascia un po’ incerti: può darsi che la tecnica pittorica adottata, o meglio creata, dalla Vercelli possa dare effetti più che soddisfacenti, come per altro lei stessa ci dimostra nel «Villaggio in montagna» e molto meglio nella «Piazza d’Issogne»; ma i toni e il colore adoperati, distribuiti a forti masse cupe, pesanti, quasi minacciose, l’aria sempre temporalesca quasi contro volontà, le nuvole affaticate e la delicata tecnica delle proporzioni, fanno sì che i suoi quadri di puro paesaggio non siano i migliori se non per l’originalità che si rivela e che dà sicura prova d’una valentia indiscutibile. Quando il paesaggio non è più essenziale, ma serve da sfondo, acquista il pregio di dare uno speciale, caratteristico risalto alle figure, e d’intervenire direttamente nello spirito stesso dell’opera. Nella natura morta i colori sono ancora oscuri nell’insieme, ma vi si rivela poi tale padronanza delle luci, deldisegno, delle trasparenze, da meravigliare: esistono in una tela alcuni oggetti di porcellana d’una esecuzione così perfetta da non poter dare luogo al minimo appunto. Nei disegni della Vercelli, alberi, paesaggi, figure, hanno tutti una voce essenziale. Sensibilità decorativa? Sensibilità artistica in essi? Fin dove la decorazione è arte e fin dove l’arte è decorazione? In questi disegni e l’una e l’altra sono soddisfatte pienamente: dal lato tecnico, la stessa personalità che nella pittura: dal lato artistico, la stessa originalità di sensazioni e d’interpretazioni. Parlo per ultimo dei ritratti, perché i ritratti dipinti da Gemma Vercelli raggiungono l’eccezione. Per non discutere dell’anatomia della Vercelli, anatomia forse un po’ difettosa, a volte colorita d’una ingenuità trecentesca, o meglio malata di modernismo disgregatore: per non parlare di proporzioni e prospettive e scorci e misure, mi limiterò ai volti e ne presenterò uno: quello della giovane ne «Il Consiglio». Voler definire questo quadro l’attuale capolavoro della Vercelli è un po’ audace, poiché non si fanno capolavori a vent’anni e non esiste, a quell’età, un’opera indiscutibilmente superiore alle altre: ad ogni modo «Il Consiglio» è l’opera più interessante della raccolta. Il concetto del titolo è stato esuberantemente rispettato e il volto della fanciulla, perfetto sotto ogni punto di vista, ha una tale potenzialità d’espressione, una veridicità così toccante ed una umanità così viva, che esso da solo descrive il titolo. Ci si domanda sorpresi come Gemma Vercelli abbia saputo dipingere quella testa, abbia saputo tradurre quell’espressione che solo un grande, veramente grande pittore, avrebbe saputo afferrare e riprodurre. Ma «Il Consiglio» è uno solo; vengono poi, altrettanto degni, altrettanto ammirabili per il gioco delle espressioni, per il potere suggestivo che l’artista infonde nei suoi volti, «Mamma e bimba», «Passa la processione», e altri e altri. Ovunque è un volto, Gemma Vercelli fa vibrare tutta la sua anima. Questo insegna che la sua mente non ha più vent’anni, ma che la vita ha snaturato ben rapidamente in lei così che il suo spirito d’osservazione avesse agio di temprarsi convenientemente fino a dare i suoi frutti. Accennavo alla tecnica pittorica sua e sarà bene dirne due parole. Come giocano i colori nei quadri di Gemma Vercelli? Il maestro di quest’artista non è antico, non è moderno, non esiste. I quadri di questa giovane pittrice non imitano alcuno, ma non sono imitabili. Si trova qualche traccia di divisionismo; ma non è certo il divisionismo a pioggia del Previati, e forse non è neppur lontanamente divisionismo. C’è un concetto nuovo ed una tecnica nuova: è già definita? a parer mio no; attualmente constatiamo un eccessivo spreco d’energie in ogni tela, in ogni particolare, il che però si deve all’età immatura; esuberanza; volontà di dire, dire, dire; dire più del necessario: è una sete che si calmerà, ma che pel momento fa correre celeremente il pennello dalla tavolozza alla tela, irrequieto ed instancabile; sete che non permette all’artista d’imparare che è meglio non fare che correggere, che è meglio togliere che sovrapporre; ma quando vi è quella sete non si è mai detto abbastanza, non si esprime mai abbastanza. I colori chiari servono all’artista soltanto ed esclusivamente per le luci più forti degli oggetti o delle figure principalissime: tutto il resto è nell’ombra o nella mezza tinta: questa è una forma indubbiamente suggestiva, ma va trattata con molti riguardi prima che non diventi pericolosa, che non ammazzi il quadro. Vi sarebbe ancor molto da dire su questa nuova voce italiana nel campo dell’arte; ma sarà meglio lasciarla dire a lei stessa con le sue opere. Ormai è conosciuta, ormai lo sa. Perseveri: non accetti consigli che da sé stessa, esprima se stessa e tutto quanto è maturato entro di lei, sia sicura di sé sopra ogni altra cosa, non la turbi nè l’amico ne il nemico: il resto lo farà Marte.E i suoi vent’anni.

Cesare de Liguoro

[notazioni a margine delle immagini presenti nel testo]
Nata vent’anni fa a Torino, Gemma Vercelli non ha frequentato alcuna Accademia né alcuna scuola. Sotto i primi insegnamenti del padre suo, prof. Vercelli, imparò l’arte dei colori e ben presto disdegnò insegnanti e metodi per seguire soltanto il proprio impulso e la propria tecnica veramente eccezionale dandone ben presto ottimi saggi. Non si sa con precisione stabilire se l’arte della Vercelli stia più nella ispirazione che nel modo di attuarla. Sta di fatto che l’una e l’altro sono potenti e nuovi, così da sorprendere e far prevedere un futuro pieno di concrete promesse poiché in lei la direttiva precisa e ben marcata non lascia dubbi sopra la personalissima sua ispirazione.

Fantasie e Seterie d'Italia, gennaio 1930, pp. 30-33

[Enrico Fuselli]