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Imperatori, Gioachimo

Intra, 26 gennaio 1824
Roma, 13 agosto 1882

«Il commendatore Gioachino Imperatori nasceva da cospicua e censita famiglia il 26 gennaio 1824. Appena laureato ingegnere nel 1846 nella Regia Università di Torino, egli entrò negli uffici del Genio Civile e coll’operosità giunse sino al sommo grado di ispettore e di membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
Giovane ancora lo troviamo in Savoja a progettare i grandi lavori di arginatura dell’Arve. L’insigne Paleocapa riconosce inappuntabile lo studio di lui e gli affida l’esecuzione che importò la spesa di oltre tre milioni di lire. L’attività, il senno dimostrato dal grande e giovane ingegnere gli riscuotono la riconoscenza di numerose popolazioni che, d’allora in poi, furono salve da disastrosissime inondazioni.
Viene in seguito mandato in Sardegna coll’incarico di formare il progetto per la rete delle strade provinciali dell’Isola, e ne dirige in gran parte l’esecuzione. Ed uguale incarico gli viene affidato per la Sicilia.
Fu allora che, a giusto guiderdone del suo indefesso ed intelligente lavoro, viene nominato ispettore del Genio e quindi membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
I diversi ministeri gareggiavano nell’affidare alla sua solerzia e provata attitudine le più delicate incombenze. Esamina e riferisce sui diversi progetti della grandiosa linea ferroviaria Eboli-Reggio. Fa parte della Commissione italiana al Convegno di Berna che studia l’intricatissima questione della continuazione della ferrovia del Gottardo. Sovrintendente alla ferrovia del passaggio dei Giovi, e della Val d’Orba. Il ministro Cairoli lo sceglie fra i tre, di cui spettava la nomina al Governo, per esaminare e riferire sulle tristi condizioni della città di Firenze.
La sua patria Intra si gloriava a ragione dei meriti e della fama di lui, e, quando nel 1878 l’avvocato Cavallini rassegnava le dimissioni da deputato del nostro Collegio, la nostra città rivolse gli occhi sul commendatore Imperatori, ed il Collegio gli affidava il mandato legislativo. Ed anche in questa nuova mansione l’onorevole deputato non venne meno a se stesso, di guisa che dopo un anno che per le elezioni generali dovettero convocarsi i comizi elettorali, il Collegio gli confermava con isplendida votazione la sua fiducia. E sarebbe ancora sugli stalli del Parlamento se il suo amore allo studio ed al lavoro non lo avesse indotto a rinunciarvi. Posto dalla sorte tra l’alternativa di dimettere il suo ufficio nel Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici da un lato, o di conservare la carica di deputato dall’altro, egli preferì di proseguire nei suoi prediletti studi lavori nei quali aveva ottenuto una vera celebrità.
Ricco di censo e già forte del diritto alla pensione, avrebbe potuto decorosamente occuparsi nel Parlamento, ma, lo ripetiamo, egli prescelse la parte più laboriosa e più consona al suo genio in cui difficilmente avrebbe ottenuto un successore suo pari. E già malaticcio egli si può dir davvero vittima del lavoro, da cui fu affranto nell’immatura età di cinquant’otto anni».

La Voce, 16 agosto 1882

[Leonardo Parachini]